*di Vincenzo Salamina e Domenico Carriero
Luca Gaudiano, foggiano, ventinove anni, vincitore del concorso AmaSanremo, sarà a Marzo sul palco dell’Ariston tra le Nuove Proposte con “Polvere da sparo”, brano in cui ha trasformato in energia poetica il dolore per la morte del padre.
Luca, Gaudiano è il tuo nome d’arte ma è anche il tuo cognome.
Ho scelto il mio cognome come nome d’arte per presentarmi con una canzone, “Polvere da sparo”, che parla di un argomento così personale, come la perdita di mio padre. Mi piaceva quindi identificarmi in un nome che venisse visto come una specie di eredità: credo che il cognome fosse la soluzione migliore per descrivermi e farmi riconoscere.
A Marzo ti vedremo sul palco di Sanremo tra le Nuove Proposte con “Polvere da sparo” grazie alla vittoria, assieme ad altri cinque finalisti, ad AmaSanremo.
Ancora oggi è stranissimo sentirmi ripetere che a marzo sarò a Sanremo: la ragione non crede a questa cosa e ci vuole sempre qualcuno che me lo ricordi [ride]. Non poteva esserci canzone migliore per parlare di me ad un pubblico trasversale come quello del Festival. Mai come l’anno scorso la direzione artistica del Festival ha dato la possibilità ai giovani di farsi conoscere prima di Sanremo, di arrivare preparati al loro ascolto; di questo va ringraziato Amadeus e la commissione artistica. Sono molto contento di portare “Polvere da sparo” perché è un pezzo che apre al mio percorso: la canzone zero che è il mio punto di partenza assoluto.
Parliamo di “Polvere da sparo” e del suo testo. Musicalmente è una canzone pop dai ritmi incalzanti.
Il brano ha un testo scritto di getto, per immagini, la mattina dopo la scomparsa di mio padre avvenuta la notte del 28 marzo 2019. La composizione è avvenuta in maniera molto naturale: è stato un mettere assieme dei pensieri che affioravano da soli. Le parole erano con me e lo sforzo è stato solo metterle in ordine. Mio padre, venendo a mancare, ha creato una voragine incolmabile perché non è stato un padre assente, ma molto presente, che ha voluto bene, con tutto sé stesso, i suoi figli e sua moglie. Ha sempre portato con sé un’immagine di assoluta bontà ed onestà: una persona che non riesco a ricordare neanche in un momento di attrito nella mia adolescenza. Lo ricordo super ironico e leggero. Lui aveva centrato il senso della vita, ed è questa la grandissima eredità che mi ha lasciato: il sentirsi bene e felici per il solo fatto di esserci a questo mondo e non perché ci stiamo realizzando. Non ho potuto fare a meno di tenere le sue tracce in un canzone che me lo facesse ricordare. Invece di farmi un tatuaggio mi sono scritto una canzone.
In generale, uno dei temi ricorrenti nelle canzoni è l’amore. Tu hai cantato l’amore per una persona che non c’è più. Come può la musica aiutare chi ha affrontato il tuo stesso dolore?
Attraverso l’emozione, che è il filtro tra quello che c’è dentro e quello che c’è fuori. L’emozione è il linguaggio attraverso il quale esprimiamo la nostra presenza e lasciamo i nostri segni su questo pianeta. Se ci lasciamo andare, le nostre emozioni possono essere i nostri cerotti più forti da metterci addosso per farci stare meglio. Anche prima di diventare cantautore, mi è capitato spesso di ascoltare canzoni che improvvisamente diventavano salvezza. Mi definisco un reduce di guerra salvato dalla musica, che per me è come quella persona che c’è sempre anche quando non c’è nessuno.
Una canzone scritta per immagini: il cuore di cemento, l’analgesico, l’anestetico, lo stramaledetto caffè, il demone. Un testo forte e martellante ma c’è un momento di catarsi con un suono orientaleggiante. Come è stato prodotto quel suono e cosa rappresenta quel momento di pausa nella canzone?
Il suono è prodotto da un violino tradizionale cinese che si chiama erhu; è stata una idea del mio arrangiatore e produttore musicale, Francesco Cataldo, anche lui pugliese. Ci siamo conosciuti a Roma, e, ascoltata la canzone, abbiamo entrambi capito che la chiave di lettura musicale del brano sarebbe stata quella di creare una ambientazione di contrasto alla scrittura drammatica del pezzo. E’ un momento di catarsi, un voler immaginare una sorta di ultimo ballo nel limbo, accompagnato da un suono orientaleggiante, con la persona con cui sto comunicando. Nel momento dell’interpretazione di “Polvere da sparo” sul palco di AmaSanremo c’è stato un mio estraniarmi da ciò che c’era intorno perché quando canto questo brano cerco di rimanere connesso con ciò che sto cantando, pensando ad ogni singola parola. Tengo tantissimo al significato del brano: anche se sto cantando a milioni di persone, in quel momento sono da solo con mio padre.
Ti sei esibito due volte in prima serata su Rai1 ad Amasanremo. Che esperienza è stata?
Meravigliosa! La auguro a tutte le persone che intraprendono questa strada; è stata una esperienza formativa perché nel giro di pochissimo tempo ti confronti con le personalità artistiche più varie e disparate. Ho conosciuto tantissimi ragazzi che mi hanno dato tanto in questo percorso; ho stretto bei rapporti e sono sicuro che con molti di loro rimarrò in contatto. La cosa che mi è rimasta di più di questa esperienza è il fattore umano e artistico: tolto questo, il mondo della televisione è magico, stellato, luminescente, patinato, entusiasmante. Per un ragazzo, far sentire le canzoni in un contesto come quello, confrontandosi con i giudici sulla musica, non è una cosa normale! E’ stato sensazionale e straordinario e mi ritengo fortunatissimo.
Siete partiti in novecentosessantuno e siete rimasti in sei! Che reazione hai avuto quando ti hanno proclamato vincitore?
Amadeus mi ha chiamato per primo e questo non me lo aspettavo proprio! Ho ancora il suono della sua voce nelle mie orecchie che pronuncia il mio nome. Sentivo di aver fatto bene, credevo nella forza della mia canzone, sentivo di meritare il palco dell’Ariston perché ho qualcosa da dire. Sentivo un po’ la responsabilità delle persone che dal 12 novembre mi hanno scritto e mi hanno sostenuto. Quella sera è come se avessi dovuto tirare un calcio di rigore: o andava bene o andava male. Ero rilassato e tranquillo perché avevo fatto tutto quello che potevo fare per andare bene.
Anche dai giudici di AmaSanremo hai ricevuto commenti lusinghieri. Piero Pelù ha riconosciuto la maturità e profondità della canzone evidenziando come l’evento traumatico fosse stato convertito in energia poetica.
Se lo dice lui, non posso che sentirmi ben descritto da queste parole. Lui è un’anima rock e il rock è verità senza filtri o giri di parole. I miei ascolti sono rock, ho ascoltato tantissimo i Litfiba nel periodo finale del liceo. Piero ha fatto la storia della musica, con un linguaggio diretto che entrava verticalmente nei problemi. Il suo commento mi ha fatto veramente piacere: è una grande soddisfazione toccare la sensibilità di artisti del genere.
Beatrice Venezi ha indicato che Il pezzo funziona radiofonicamente ma non le era chiaro dove vuoi andare musicalmente.
Non è chiaro neanche a me in quanto sto assolutamente navigando a vista. Non ho la pretesa di ascrivermi ad un registro stilistico: sento di essere alla ricerca di tutto in quanto sono musicalmente giovane. Mi sento però di dire che, forse, per il fatto di essere uscito con il mio primo singolo il 25 settembre scorso ed essere già a Sanremo nei giovani nel 2021, non sto andando nella direzione sbagliata.
Morgan ha evidenziato come il testo di “Polvere da sparo” sia molto forte, denso di concetti compressi. Evidenziando che sei vocalmente bravissimo, ha paragonato il testo del brano a quelli di Tenco e ti ha suggerito di fare qualcosa di più classico, meno moderno.
Ci proveremo insieme, se avrò l’occasione o l’opportunità di essere affiancato da lui in un momento creativo da poter condividere. Musicalmente lui ha tanto da insegnare e accolgo quindi con assoluta positività questo suo consiglio. Il tutto è chiaramente frutto di una mia immaturità poetica e, probabilmente, usare tante parole per esprimere concetti, è frutto di una modernità di linguaggio e di un tipo di musicalità diversa da quella dei grandi cantautori degli anni settanta. Io adoro Tenco e lungi da me paragonarmi ad un cantautore di quelle dimensioni, ma le sue parole mi sono sembrate costruttive.
Luca Barbarossa ha rimarcato come l’elaborazione del lutto sia stata tramutata in una energia positiva, in qualcosa di condivisibile. Si è complimentato per la tua voce straordinaria, paragonata alla potenza vocale di Tiziano Ferro.
Magari! I giudici non si sono dosati e centellinati nei paragoni [ride]. Sono lusingatissimo. Ho ascoltato Tiziano Ferro sin da quando ero bambino: forse ho preso qualcosa da lui ma spero di avere una mia identità artistica anche se ho subito delle influenze negli ascolti. Spero un giorno di poter incrociare anche Tiziano perché è un grandissimo artista. Luca è un amore di persona: mi ha ospitato due volte nel suo programma, “Radio2 Social Club”, e ha cercato di farci conoscere il più possibile al pubblico. E’ veramente un artista e una persona che darebbe l’animo per far crescere i nuovi talenti.
Hai una immagine semplice, ma precisa. Questo lo si è visto anche nell’outfit presentato nelle due serate di AmaSanremo. E’ questa una immagine di te o sei effettivamente cosi?
Spero di mettermi col tempo sempre più a fuoco e di permettere alle persone di capirmi sempre di più. Purtroppo il discorso dell’immagine è un’arma a doppio taglio, perché quando vuoi uscire di casa, e sentirti al meglio esteticamente, rischi di fare più del dovuto dimenticando che riusciamo ad empatizzare il prossimo con la nostra faccia e il nostro modo di porci. Per quanto riguarda le serate di Sanremo, opteremo per outfit che combacino meglio con la mia personalità più semplice per arrivare dritto al pubblico. Io sono un tipo “jeans e maglietta”: c’è quindi una persona adorabile, Camilla, che sta lavorando sul mio outfit e sono sicuro che farà un lavoro eccezionale. Non mi pronuncio in fatto di estetica: non sono un cantautore che fa già il modello [ride].
Non vorremmo che il fatto di avere i riflettori accesi su “Polvere da sparo” impedisca di far conoscere al pubblico un altro tuo bel pezzo, il tuo primo lavoro, “Le cose inutili”.
“Le cose inutili” è un pezzo scritto nel primo lockdown, assieme ad “Acqua per occhi rossi”, entrambi contenuti in un piccolo EP. “Le cose inutili” è un voler fare il punto della situazione sui rapporti umani, sulla condizione degli esseri umani sul pianeta Terra. Guardando dalla finestra, mi sono reso conto che il mondo stava cambiando in una direzione pericolosa, di non ritorno; non ce ne stiamo accorgendo ma il Covid è uno spartiacque storico, per prendere direzioni verso scenari che non sappiamo immaginare, per adattarci a nuovi stili di vita. Tutto questo mi toglieva il sonno perché cerco di essere al centro di ciò che mi succede intorno, e “Le cose inutili” voleva essere un monito a me stesso. Ho fatto parlare la Terra, che ci ammonisce e ci dice rassegnata “tenetevi le cose inutili”, che sono poi le cose che ci fanno stare male. Se passi un setaccio ciò che ti rimane dentro sono le cose importanti, quelle che fanno rifermento alla sfera degli affetti, delle emozioni. Era questo che volevo comunicare.
Prima di essere cantante hai fatto una lunga esperienza nel teatro musicale.
Il teatro è l’altra mia grande passione ed è una dimensione espressiva che non abbandonerò mai: la musica e il cantautorato non escludono affatto gli altri canali espressivi. Nel 2012 ero ancora a Foggia ed ho iniziato a fare esperienze con una compagnia teatrale locale, facendo “Mamma mia!” e “Moulin Rouge”, in un ambiente che metteva assieme il canto e la recitazione. Quando, per la prima volta, ho messo piede nel Teatro del Fuoco a Foggia mi son detto “questa è la mia casa” e mi sono trovato subito bene. Il teatro mi ha dato subito quella dimensione di possibilità. Mi sono quindi trasferito a Roma dove ho studiato alla scuola di Gino Landi per due anni. Dopo essermi diplomato, ho iniziato subito a lavorare e ogni anno iniziavo uno spettacolo diverso e viaggiavo molto. Ad un certo punto ho deciso di portarmi appresso la chitarra e ho scritto sempre durante questi anni fino a quando ho sentito l’esigenza di mettere tutto in ordine. Ho avuto la fortuna di incontrare Alessio Ciannella, mio produttore discografico, che ha ascoltato le mie canzoni. L’ho rincorso per un paio di anni: dopo un po’ i miei brani hanno cominciato ad essere più ascoltabili e ha deciso lì di credere in me e proprio da lì è partita la mia carriera musicale.
E’ vero che a teatro hai anche interpretato un bullo?
Si! Peppe er bullo [ride]! Si trattava di una commedia musicale in romanesco: cantavamo le canzoni e stornelli di Roma con il fil rouge descritto da poesie di Trilussa. Tra le canzoni ricordo Trasteverina, i pezzi dei Vianella, ma anche una canzone di Nino Manfredi, “Che bello sta’ co’ te”. Eravamo tutti amici e ci divertivamo come pazzi. E’ durato due settimane nel 2014 e 2015. Rifarei subito quella esperienza.
Sei nato a Foggia, abbastanza lontano dai riflettori delle case discografiche. Quanto ha potuto influire la città natale e la Puglia nel tuo percorso artistico?
A livello di DNA tantissimo: il DNA pugliese, ed in particolare quello foggiano, sono codici genetici particolari. La Puglia è fucina di talenti da sempre e secondo me sono talenti particolari, forti, eclettici: penso a Renzo Arbore, Albano, Giuliano Sangiorgi, gli stessi Negramaro, Emma, Alessandra Amoroso, ma anche a tantissimi ragazzi che scrivono e suonano, scrittori, attori. Nell’ambito dello spettacolo e dell’arte sono tantissimi i pugliesi.
Abbiamo tanti cantautori italiani, chi sono i nuovi spartiacque?
Mahmood. E’ un cantautore che ha gettato le basi e ha fatto da apripista per un nuovo modo di intendere il cantautorato nella musica pop. Con la sua musica ci ha fatto capire che si può essere cantautori di spessore, inteso come quantità e qualità testuale di argomento e di scelta del linguaggio, rimanendo pop, senza diventare troppo distanti dal pubblico, senza essere radical chic, senza doversi ascrivere al registro degli indie.
Cosa dobbiamo aspettarci da Sanremo 2021?
Attualità! Amadeus è andato nella direzione della musica: negli anni passati si è andati nella direzione della canzone sanremese, che non esiste. In realtà bisogna ascoltare quale è la pulsione musicale del panorama. Non si possono chiudere gli occhi davanti al rap, alla trap: di sicuro a Sanremo 2021 ci sarà il quadro della situazione discografica in Italia in questo momento. Da Fasma a Orietta Berti, l’arco è assolutamente completo.
Cosa dobbiamo aspettarci dal post Sanremo di Gaudiano?
Sanremo sarà un’altra giornata da buttarsi alle spalle. Sono una persona a cui piace guardare avanti, nostalgica quando serve. Il Festival sarà una tappa in un percorso ma dal quale non dipenderà nulla, per me e per gli altri artisti. Subito dopo la mia attenzione sarà sulla produzione del mio primo album con una uscita anticipata probabilmente questa estate e a novembre/dicembre ci saranno i miei primi due live da Gaudiano a Milano e Roma per presentare il tour 2022.
Incrociamo le dita Gaudiano per questo Sanremo e torna a trovarci presto.
Grazie davvero di cuore per la possibilità di farmi conoscere, ancora meglio di come non ho potuto fare in precedenza. E’ sempre una grandissima opportunità di aprirmi al pubblico. Un saluto a tutti i lettori di Valle d’Itria News e ci vediamo dopo Sanremo.
*Vincenzo Salamina e Domenico Carriero sono appassionati di musica e conducono un programma su Youtube chiamato Music Challenge (che potete seguire qui). Con ValleditriaNews condividono amichevolmente le interviste a musicisti e artisti noti o meno della scena musicale italiana.
Lascia un commento