*di Vincenzo Salamina e Domenico Carriero
Con “Deserto” è stato uno dei sessantuno finalisti di AmaSanremo 2020. Leva emergente della scena musicale milanese, da anni in grande fermento, riesce a far sì che la sua musica sia ponte tra diverse culture.
Ganoona, da dove proviene questo particolarissimo nome d’arte?
Viene preso in prestito dal romanzo “Amore a Venezia. Morte a Varanasi” di Geoff Dyer. Parla dei viaggi di Jeff, appunto prima a Venezia e poi a Varanasi: il protagonista, a un certo punto, letteralmente impazzisce e inizia a vedere una presenza mezza lontra e mezza canguro, che chiamerà appunto Ganoona, che gli fa delle rivelazioni sulla vita e sulla morte, un po’ come se fosse la sua coscienza a parlare. Come Ganoona, voglio fare la stessa cosa con la mia musica nel senso che quando scrivo uso la penna per dire delle cose che nella vita non riesco a dire o che non riesco ancora a vedere chiaramente.
Parlaci di come nasce “Deserto”, il tuo ultimo singolo.
“Deserto”, come tutte le canzoni che scrivo, nasce da esperienze personali. E’ la ballata di un amore al tramonto, un fotogramma del momento in cui realizziamo che la distanza che separa due persone è un deserto, è troppo grande; anche se c’è la volontà di attraversarlo, si rischia poi di morire di sete a metà strada. Questo è il senso della canzone.
Nella canzone il protagonista continua a dire “so quello che voglio”.
E’ la frase più importante della canzone; viene ripetuto come un mantra perché è una presa di coscienza in quanto osservi la situazione, capisci che c’è qualcosa che non va e lo step mentale per andare avanti è sapere chiaramente cosa vuoi. In quel momento di grande incertezza su mille cose, che combaciava con l’inizio della pandemia, io avevo chiaro in testa cosa volevo dalla mia vita.
Per “Deserto” è stato anche girato un video, molto particolare per ambientazione.
Il video è stato girato di notte per essere crepuscolare: non ho mai fatto video notturni e ho preso il tutto come una sfida. Lo abbiamo girato in un parco milanese e al Cimitero Maggiore. Lo abbiamo pensato e realizzato in una settimana per poterlo presentare a Sanremo Giovani, cosa che siamo poi riusciti a fare. La location del Cimitero Maggiore era uno dei posti che preferivo di Milano per girare un video. La modella protagonista rappresenta metaforicamente la mia metà, è Rroyal Ak: ci tenevo ad averla perché ha un volto comunicativo, molto cinematografico, anche senza dire niente comunica. Noi camminiamo in silenzio nel video, scegliendo di rappresentare una scena di vita comune, ossia quella di una coppia che ha appena litigato e che, per mettere una toppa, porta in giro il cane ma alla fine non si parla.
Nel testo della canzone usi delle espressioni particolari, tipo “Abbiamo il cuore raro come un gorilla albino, se ci mettiamo in gabbia moriremo sicuro” …
Mi piace usare delle metafore, delle immagini inusuali; una frase inaspettata come questa significa che ogni storia d’amore è speciale per chi la vive, e ci si sente speciali all’interno; però ogni storia d’amore, unica o meno, va protetta e proteggere non significa la gabbia ma significa respiro, avere i propri spazi, rispettare le differenze di ognuno altrimenti si muore in cattività.
Hai portato “Deserto” a Sanremo Giovani 2020: parlaci di questa esperienza.
E’ stata una decisione presa all’ultimo; a fine estate avevo dei pezzi pronti e assieme al mio manager abbiamo deciso di provarci avendo la canzone giusta, “Deserto”, dal testo semplice e comprensibile. Come detto, in una settimana abbiamo girato il video. Inaspettatamente sono stato selezionato tra mille partecipanti; mi sono fermato ai provini in presenza a Roma, negli studi Rai sul palco di Area Sanremo, con altri sessanta artisti. Poi da questi ne sono stati scelti venti. E’ stata molto bella come esperienza anche se avevo un po’ di timore, dato che cantavo per la prima volta “Deserto”, in un contesto di pandemia, con Amadeus che ti ascolta attentamente. Ho legato in particolare con Davide Shorty che sto seguendo e che saluto: sono un grande estimatore della sua musica.
Non sei nuovo nel fare musica, hai un trascorso dove hai cantato anche altri tipi di brani, tra i quali “Tonno”.
Certo, vengo da un ambiente musicale non così pop: io vengo dalla scena rap, poi mi sono messo a studiare musica, canto, pianoforte, ho evoluto le mie capacità e per un periodo sono stato in duo con la cantante Bianca: abbiamo fatto un EP assieme che era quasi unplugged come progetto perché volevo tornare alle radici della musica che stavo studiando. “Tonno” è l’episodio più off topic dall’inizio della mia carriera: l’ho fatta appena dopo l’esperienza con Bianca ed è un omaggio al blues: basso, batteria e chitarra acida, un pezzo divertente scritto in un’oretta!
Le tue canzoni rimangono in testa, basti pensare a Cucurucucù.
Sono un appassionato di melodia e di parole; per la melodia sono un estimatore dei ritornelli che è la chiave di volta dell’arco, della costruzione; questo, sommato alla mia passione per le parole che coltivo da ragazzino, crea una sinergia tra melodia e parole, tra l’interazione di figure per trovare qualcosa di semplice ma efficace. Bukowski, uno dei miei autori preferiti, in una intervista disse “io scrivo per tutti affinché possano capire l’ubriaco sotto casa così come il principe”.
Sei un artista milanese. Concordi che ci sia un nuovo fermento giovanile nella scena musicale milanese?
Storicamente, a fasi alterne, ci sono state delle correnti artistiche, dei momenti magici, dove tanti artisti con un approccio simile ma diverso si incontrano, si conoscono e creano sinergie. Negli ultimi anni a Milano questa cosa è nata, dopo il grande successo del rap prima e dell’indie dopo: è come se avessimo tutti percepito che il Paese ha bisogno di musica nuova, voglia di esperimenti e commistioni diverse. Abbiamo visto come il vincitore di Sanremo 2019, Mahmood, sia stato il capostipite di questo percorso; ci sono tantissime realtà simile o diverse, Milano freme.
C’è qualcosa che ti accomuna a Mahmood?
Può darsi il fatto che siamo figli di coppia mista e quindi questa voglia di usare la musica come ponte tra le culture. Questa cosa, chi non viene da una famiglia mista, fa fatica a capirla: bisogna saper lottare per conquistare questa identità altrimenti rischi di essere in mezzo e non sai chi sei o rischi di rinnegare una parte e sposare l’altra. Mahmood riesce ad essere completo, essere tutto se stesso e io cerco di fare la stessa cosa, mettendo dentro il rap, la musica latina e il Rhythm and Blues.
Sappiamo che la musica occupa la quasi totalità della tua giornata.
Esatto! Oltre a fare la mia musica insegno canto moderno privatamente in alcune scuole di Milano. Citando Dalla direi “tutta la vita con questo orribile rumore” [ride]. Scherzi a parte, ogni tanto ho bisogno di silenzio, per ascoltarmi. Sono contento che la musica sia la mia vita. È sinergico insegnare e fare musica. Quando insegni impari e sei costretto a stare sul pezzo a vedere cose nuove e vedere con ogni alunno le cose in modo diverso, e questo rende il tutto molto stimolante.
Grazie Ganoona e in bocca al lupo per il tuo percorso artistico.
Grazie a voi e un saluto ai lettori di Valle d’Itria News.
*Vincenzo Salamina e Domenico Carriero sono appassionati di musica e conducono un programma su Youtube chiamato Music Challenge (che potete seguire qui). Con ValleditriaNews condividono amichevolmente le interviste a musicisti e artisti noti o meno della scena musicale italiana.
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