*di Vincenzo Salamina e Domenico Carriero
Stimatissimo cantautore lucano, cresciuto alla scuola CET di Mogol, con “Nell’alba che verrà (Ustica)” tiene vivo il ricordo di uno dei misteri italiani.
A luglio 2020 hai pubblicato il video di “Nell’alba che verrà (Ustica)”, dedicato alla strage di Ustica: perché una canzone su Ustica?
E’ una canzone che non avrei mai pensato di scrivere, anche se ho sempre seguito la strage di Ustica. All’epoca dei fatti ero piccolo ma col tempo mi sono molto documentato: ho visto il film “Il muro di gomma” di Marco Risi e “Ustica” di Renzo Martinelli. Una notte, dopo aver visto “Blu Notte” di Lucarelli, ho anche sognato di essere sull’aereo DC-9 Italia; nel 2020, a quarant’anni dalla ricorrenza del tragico evento, in TV hanno trasmesso un nuovo speciale su Ustica e la mattina dopo mi risvegliai con quel sogno che avevo fatto tempo addietro e con una musica che avevo composto nel periodo del lockdown, che parlava dell’importanza della verità che spesso viene nascosta. Così, in dieci minuti, è nata la canzone. Non abbiamo potuto registrarla con i musicisti in presenza ma solo a distanza perché eravamo in fase tre. Nella canzone hanno suonato Antonello Mango, al contrabbasso, e Sergio Leopardi, al sassofono. Questo brano non è in vendita perché rappresenta un mio piccolo contributo per la strage di Ustica come artista e come cittadino.
Nel 2019 incidi un altro bel brano “Basilicata terra di luce”: quale è il percorso che ti ha portato a scrivere un brano sulla tua regione e quale messaggio passa?
Questa canzone non è stata partorita di getto, come per “Nell’alba che verrà”, perché la musica l’avevo scritta tantissimi anni fa quando abitavo con i miei genitori. Vedendo i vicini rientrare a casa, gli amici che mi chiamavano a giocare a calcio, il verde che ci circondava, mi resi conto di quanto fossi legato alla mia terra. E’ quindi una canzone in realtà dedicata al mio quartiere che in quel momento era la mia terra. Non scrissi però neanche una parola perché forse ero troppo coinvolto. Nel 2015 chiesi al poeta Angelo Parisi, che ha scritto due testi del disco “Che mondo sei” (2014), di ascoltare quella musica e vedere la Basilicata senza retorica, e lui ha scritto un testo che parla della bellezza del territorio e della gente lucana, ma anche della sua povertà, non solo economica ma anche di pensiero, l’insoddisfazione di un popolo deluso. Nel video appaiono anche i musicisti di primo livello che mi hanno accompagnato nell’esecuzione del brano: Giovanni Scasciamacchia, noto batterista jazz, Antonello Mango, con il quale collaboro da venti anni, al contrabbasso, Donatello Giambersio, di Potenza, al pianoforte, e Sergio Leopardi, al sax tenore.
La Basilicata ha dato i natali a tanti artisti. Tra questi anche un tuo antenato.
Sì, Michele Tedesco [Moliterno, 24 agosto 1834 – Napoli, 3 febbraio 1917] che è stato uno dei più importanti pittori dell’800 e ‘900 a livello europeo. Fu uno degli esponenti dei macchiaioli. Le sue opere sono esposti nei più importanti musei internazionali. Fino al 2012 lo conoscevamo noi in famiglia, essendo zio di mio nonno; nello stesso anno, grazie ad una mostra internazionale patrocinata dalla Presidenza della Repubblica, Michele Tedesco è tornato alla ribalta e Vittorio Sgarbi si è dimostrato un suo estimatore.
Hai conosciuto però una eccellenza lucana, uno dei massimi esponenti della musica italiana, Pino Mango. Che ricordo hai di lui?
Mango è stato un artista straordinario. Io l’ho conosciuto nel 1995 quando tenne una lezione al CET di Mogol che stavo frequentando. Dovevamo esibirci davanti a lui; dei miei compagni avevano cantato prima di me e non erano piaciuti un granché a Mango. Pino era una persona che diceva le cose in maniera molto diretta, senza troppi giri di parole. Subito dopo toccava a me ed ero molto preoccupato anche perché avevo di fronte non solo una grande voce ma anche un corregionale, dato che Moliterno e Lagonegro distano circa trenta km. Cantai “Englishman in New York” di Sting. Terminata l’esecuzione Pino si volse verso i miei compagni dicendo “non è perché questo ragazzo è delle mie parti, ma questo ragazzo sa cantare”. Questa fu una frase molto importante perché pensai “se me lo dice Mango che so cantare, forse qualcosa c’è!” Poi mi fece cantare nuovamente il brano senza asta, dato che avevo avuto il timore di tenere il microfono in mano.
Prima hai citato Mogol. Nel tuo curriculum c’è la crescita artistica nella scuola di Mogol, ci sono delle collaborazioni importanti e delle condivisione di palchi importanti con moltissimi artisti. Cosa ti è rimasto di questa esperienza continua nel vedere all’opera i grandi artisti?
Andai al CET nel 1995, a ventidue anni. All’inizio del 1996 Mogol decise di creare dei gruppi che potessero promozionare la scuola con dei concerti e passaggi in trasmissioni televisive. Selezionò gli artisti più pronti e io fui selezionato come cantante e chitarrista del gruppo “Cime di Rap”, nome che inventò una mia carissima amica, grande cantante, Stefania Francanbandiera di Barletta, anche se Mogol avrebbe voluto chiamarci “Voglia di bella musica”. Con questo gruppo abbiamo girato tantissimo, abbiamo suonato in molti teatri prestigiosi italiani: il Sistina di Roma, il Teatro Romano di Verona, il Goldoni di Venezia. Spesso condividevamo il palco con Gianni Morandi, Gianni Bella, Mario Lavezzi. Una volta facemmo uno spettacolo con Giorgio Albertazzi in occasione di una serata in cui si accostava Battisti a Leopardi: Albertazzi venne a recitare le poesie di Leopardi mentre noi cantavamo le canzoni di Battisti. Partecipammo a “Ci vediamo in TV” di Paolo limiti, a “Uno Mattina”, alla prima puntata de “La vita in diretta” che andò in onda in prima serata su Rai2. E’ stata un’esperienza importante da un punto di vista musicale ma anche umano. Questa collaborazione con le “Cime di Rap” durò dal 1996 al 2002. Tutti gli artisti incontrati mi hanno sicuramente insegnato la professionalità: io venivo dalle serate al piano bar a Maratea e a Praia a mare, e quindi, dal vedere questi artisti lavorare e dall’incontrare pubblico importante, quello dei grandi teatri e delle grandi piazze, ho imparato la professionalità di questo lavoro che spesso viene dimenticato. E’ un lavoro fatto di studio, impegno e ricerca. Il talento da solo non basta, occorre costruire un percorso artistico.
Alcune delle tue composizioni sono diventate colonne sonore di fiction Rai.
Successivamente all’avventura con Mogol, sentii la necessità di cantare la mia musica e nel 2003 ottenni quindi un contratto editoriale con la Warner Music, che pubblicò le mie prime canzoni. Dall’album “La strada” del 2003 furono estratte due canzoni che furono selezionate per essere colonne sonore di due film della Rai: “Ancora ti sento” si ascolta in “Madre come te”, film di Rai1 con Nino Frassica e Ida Di Benedetto, e “Sei come sei” fu inclusa nella colonna sonora de “Il Capitano” nel 2005 su Rai2 con Alessandro Preziosi.
A proposito di “Sei come sei”, lo definiremmo un capolavoro, con questa melodia molto accattivante, molto mediterranea in alcuni passaggi. Come è nato questo brano.
Io scrissi musica e arrangiamento mentre il testo fu scritto da Giuseppe Anastasi, autore delle più famose canzoni di Arisa. L’incontro con Anastasi fu molto particolare. Dopo il contratto editoriale di quattro anni con la Warner, cercavo un contratto discografico. Purtroppo era un periodo in cui le case discografiche erano in difficoltà, non investivano più tanto sui cantautori ma preferivano puntare su cose molto più leggere. Mandai i miei provini alle case discografiche e un pomeriggio mi telefonò il compianto Vincenzo Micocci, uno dei più grandi discografici italiani (come talent scout ha scoperto De Gregori, Venditti, Rino Gaetano, Alberto Fortis e molti altri). Quando ci incontrammo riconobbe il mio talento ma, visto il difficile periodo per la musica italiana, non trovammo un accordo discografico. Mi suggerì comunque di cambiare il testo di questa canzone, che all’epoca non si chiamava “Sei come sei”. Dopo qualche giorno, al Teatro Politeama di Terni conobbi Giuseppe Anastasi, che aveva già scritto un brano per Baccini, al quale feci sentire la melodia di “Sei come sei” e lui mi scrisse dopo un po’ il testo su un foglio di carta. Micocci ci aveva visto giusto.
Ti senti più legato ad un genere musicale?
I generi e le etichette sono cose che non mi appartengono. Io sono cantautore e le mie sono canzoni che hanno influenze musicali. “Sei come sei”, ad esempio, ha diverse influenze musicali, dal funky al blues. Dò molta importanza alla musica più che ai testi, perché la musica è il motore di una canzone. Il testo ha una importanza sicuramente determinante ma la musica credo sia il vero motore.
Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo futuro musicale?
Sto lavorando dal 2019 ad un nuovo album; purtroppo con il Covid tutto si è ampiamente complicato e già la situazione pre-Covid per la musica non era delle migliori. Nel nuovo disco ci saranno canzoni inedite ma ci sarà anche “Basilicata terra di luce” e “Nell’alba che verrà (Ustica)”, da riarrangiare dato che la versione video è solo acustica. Il progetto prevede anche una nuova versione delle mie canzoni più significative.
Hai un canale YouTube, “Raffaele Tedesco musicista”, dove i video in studio sono pochissimi mentre è possiamo trovare tanti filmati di live. Cosa vuol dire questo?
Il live è la mia dimensione ideale perché credo che il contatto con il pubblico sia la cosa più gratificante per un artista. Incidere un disco è una scusa per suonare poi quei brani dal vivo [ride]. I miei spettacoli sono incentrati sulla musica d’autore, e quindi troviamo canzoni di Lucio Battisti, Lucio Dalla, De Crescenzo, Jannacci e poi le mie canzoni. Per molti anni ho eseguito un omaggio a Lucio Battisti, lo faccio sempre con piacere, dato che le sue canzoni, nonostante siano passati cinquant’anni, sono ancora moderne. Il suo periodo degli “album bianchi” [quelli dal 1986 al 1994, con testi di Pasquale Panella] è fantastico e andrebbe rispolverato: anche i giovani dovrebbero avvicinarsi a quei dischi fenomenali. Oltre al canale YouTube, è in arrivo il mio sito internet: ci sono stati anni di blackout ma nei prossimi giorni raffaeletedesco.it, sarà online.
Avendo frequentato il CET di Mogol, c’è qualche aneddoto che vuoi raccontare di quella esperienza?
C’è un aneddoto che risale a uno dei primi concerti che facemmo al CET. Con Mogol eravamo a cena con Clemente Mimun. Dopo cena presi la chitarra e ci mettemmo assieme a cantare: suonammo per tre ore cantando tutto il repertorio di Battisti, e la cosa sorprendente è che Mogol faceva fatica a ricordare i testi di quelle canzoni di Battisti che lui stesso aveva scritto, però ricordava a memoria i testi di canzoni non famosissime della Formula 3.
Grazie Raffaele per averci consentito di conoscerti meglio: hai anche tu sulle spalle l’eredità della musica d’autore italiana. La sfida è ora sensibilizzare quanto più pubblico verso questa musica, che prevede studio, passione e sperimentazione.
Grazie e speriamo di vederci di persona senza tralasciare questa vita virtuale che ci consente un esperimento di intervista a distanza che prima era impensabile. Un saluto ai lettori di Valle d’Itria News.
*Vincenzo Salamina e Domenico Carriero sono appassionati di musica e conducono un programma su Youtube chiamato Music Challenge (che potete seguire qui). Con ValleditriaNews condividono amichevolmente le interviste a musicisti e artisti noti o meno della scena musicale italiana.
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